Post Covid: a Milano non si trova un cameriere meridionale; in tanti sono tornati al Sud, godono gli stranieri

A Milano non si riescono a trovare camerieri. E’ la denuncia di diversi ristoratori a due mesi e mezzo dalle riaperture di massa al pubblico dello scorso 26 aprile.

Se n’era già parlato in primavera, ma sembrava essere un fatto momentaneo. E invece l’emergenza si protrae. “Non si trova un ragazzo che venga a lavorare“, racconta uno dei partner di Io Mangio Campano. Altri confermano e aggiungono: “E’ diventato davvero molto difficile trovare gente con esperienza. Se ne sono andati al Sud dalle famiglie e non vogliono tornare in piena estate mettendosi alla ricerca di una costosa stanza“.

Il comparto della ristorazione era stato il più colpito delle contestate misure restrittive imposte dal Governo nel tentativo di arginare l’emergenza sanitaria. L’efficacia di tali misure – tra l’altro – sarebbe pesantemente sopravvalutata, come conferma l’analisi del “caso spagnolo”.

I dipendenti dei ristoranti e dei bar avevano dovuto fare i conti con i vari periodi di cassa integrazione; chi non ha potuto godere dell’anticipo da parte dell’azienda ha dovuto attendere anche 3 o 4 mesi per incassare i soldi. In questo stato di cose una buona fetta dei lavoratori del settore, tra quelli provenienti da altre regioni, aveva lasciato Milano a novembre e a marzo quando il Governo Draghi aveva varato misure pesantissime che sarebbero durate per circa 1 mese e mezzo.
Alla riapertura dei locali i titolari delle attività si sono quindi ritrovati con personale ridotto. E non è un problema di carattere economico: a Milano il rispetto dei contratti è molto maggiore rispetto ad altre zone d’Italia, in particolare del Sud dove non sono rare proposte ritenute “indecenti” che spesso finiscono sui giornali e sui social.

GLI STRANIERI SONO RIMASTI A MILANO E ORA SCALZANO I MERIDIONALI

In questo contesto ad essere avvantaggiata è la manodopera straniera, a volte irregolare. Molti ragazzi e ragazze provenienti da altre realtà, non potendo tornare nei Paesi di provenienza, sono riusciti ad “arrangiarsi” a Milano e provincia ricorrendo all’aiuto di amici più fortunati e adattandosi a condividere piccoli appartamenti con più persone, fino alla condivisione di una camera in tre. Questa soluzione ha permesso di superare il periodo più difficile e di essere in prima linea nel momento della ripresa delle attività. “Ho dovuto lasciare la mia stanza a maggio 2020 perché non riuscivo a pagare l’affitto per colpa della cassa integrazione che non arrivava – spiega Faizan, 26enne pakistano che vive da 6 anni a Milano – Me ne sono andato a casa di amici che mi hanno ospitato a Cinisello Balsamo e poi ho pagato un piccolo affitto per il mio letto nel soggiorno quando ho percepito il sussidio. A maggio ho ritrovato lavoro e il mio titolare mi ha detto che il problema dei meridionali rientrati a casa è veramente grave. Lui dice che gli italiani sono diventati troppo viziati, ma io penso che in questa situazione così nuova è esagerato parlare di questo“.

LA SVOLTA IN AUTUNNO CON IL RITORNO NEGLI UFFICI

E’ probabile che, incoraggiati dalla tendenza dei governi ad evitare ulteriori misure restrittive sulla scia di quanto sta accadendo nel Regno Unito, una buona fetta di quei giovani tornati al Sud possa far rientro in Lombardia verso la fine dell’estate. In autunno, inoltre, verrà avviato il progressivo ritorno negli uffici pubblici e privati con un parziale accantonamento del discusso “smart working”, una svolta che favorirà tutte quelle attività che fondano il loro fatturato sulle pause pranzo.

Dario De Simone