“‘A zuppa ‘e cozzeche cu ‘o rrusso”, una tradizione borbonica che ha più di 250 anni

E’ una delle tante tradizioni borboniche che rendono famosa la cucina napoletana da generazioni. E’ la zuppa di cozze del Giovedì Santo. Risale ai tempi di Ferdinando I. Il Re, figlio del più celebre Carlo, salì al trono giovanissimo; e coltivò la sua passione per la pesca: si racconta che si calasse personalmente nelle acque di Posillipo, trasformate in riserva marina, per raccogliere frutti di mare e farsi preparare deliziosi piatti dallo staff reale.
Era goloso soprattutto di cozze il giovane sovrano. Si racconta che ambienti ecclesiastici, a quei tempi in pesante conflitto con i Borbone, l’avessero però messo in guardia per i ripetuti peccati di gola, ritenuti più gravi durante la settimana santa. E fu così che Ferdinando – probabilmente nel 1776 – decise di farsi preparare un piatto meno ricco ma buonissimo come la zuppa di cozze da consumare il Giovedì prima di Pasqua. Dalle cucine di Palazzo la voce si sparse nelle strade in poche ore.

Per imitare il sovrano, i napoletani decisero di dedicarsi alla zuppa di cozze ogni Giovedì Santo. Negli ambienti borghesi veniva preparata facilmente, negli ambienti più popolari le cozze furono sostituite dalle più economiche lumache.
L’arrivo del benessere diffuso nel secolo scorso portò al ritorno massiccio della ricetta originale con le cozze, unite ai pelati, all’aglio, al prezzemolo e alla sala forte di peperoni, il tutto bagnato da un bicchiere di vino bianco secco che va ad impregnare i cubetti di pane biscottato.
Resta una delle tradizioni più popolari della cucina partenopea e affonda le sue radici nell’epoca borbonica. Negli ambienti popolari veniva chiamata “‘A zuppa ‘e cozzeche cu ‘o rrusso” con un chiaro riferimento a quei pomodori che davano un colore speciale al piatto. La ricetta resta molto diffusa in tutte le comunità italiane all’estero che l’hanno conservata anche per motivi di orgoglio territoriale e tentano di tramandarla alle future generazioni.