L’ingegnere napoletano in UK: “Gli inglesi ingurgitano schifezze di ogni tipo; a farli mangiare bene ci pensiamo noi”

Vive in Inghilterra da oltre 5 anni e vi è rimasto anche durante l’anno più difficile, caratterizzato dalla Brexit e dall’emergenza sanitaria. Giovanni Pugliese Carratelli, napoletano del Vomero, è uno dei tanti “cervelli in fuga” che hanno lasciato la nostra terra. Ma tiene a precisare di averlo fatto per scelta e per ambizione, non per necessità, pur criticando aspramente il mondo del lavoro in Italia e l’approccio dell’imprenditoria nei confronti dell’innovazione.
A Cambridge, cittadina famosa per i tanti college, ha ottenuto il suo dottorato di ricerca in una particolare branca dell’ingegneria. Di Napoli e della Campania (forse anche dell’Irpinia di cui è originaria la moglie Ilaria) rimpiange la buona cucina, ma ci spiega dove andare per mangiare bene pure in Inghilterra, finanche la pizza.

Cosa ti ha portato ad approdare alla cittadina famosa per i college?
“Dopo avere lavorato per qualche tempo ad Honeywell Control Systems e avere raggiunto rapidamente il ruolo di quadro sentivo una sete di conoscenza ed esplorazione che anche in un ruolo di ricerca in industria non riuscivo a frenare. Qui a Cambridge sono quindi approdato per il Dottorato di Ricerca. Dopo avere sostenuto i vari colloqui ed esami ho focalizzato la mia ricerca nella cosiddetta teoria del controllo, una branca dell’ingegneria confinante con la matematica applicata, le cui applicazioni più recenti sono in biologia e reti elettriche. Ho trovato un luogo molto stimolante per la mia crescita come ricercatore. L’interazione continua con i professori e colleghi sia in ufficio che in occasioni più conviviali è molto interessante e permette di discutere e immergersi nei problemi con grande passione”.

Ti ritieni un “cervello in fuga”?
“Per scelta, o meglio per ambizione, ma decisamente non per necessità.
Prima di trasferirmi ho lavorato in grandi realtà italiane e ho ricevuto numerose offerte di lavoro. L’ambiente di lavoro non mi ha mai stimolato, se non per alcune eccezioni. Dopo avere lavorato in Honeywell mi sono poi reso conto che il management italiano è molto carente e uno dei punti deboli dell’imprenditoria in Italia. Il vero rammarico che provo quando penso alla realtà lavorativa italiana è a proposito della separazione tra eccellenza dell’università e la realtà del mercato del lavoro. In particolare l’istruzione che ho ricevuto alla Federico II (a breve otto volte gloriosa nei secoli) mi ha permesso di competere con l’eccellenza di livello nazionale e internazionale. Nel mercato di lavoro italiano ho visto tuttavia una scarsità di lavori legati alla innovazione, il che rende una formazione di cosi alto livello quasi inutilizzabile se non per lavori di tipo impiegatizio o che comunque non richiedono grosse conoscenze e capacità. Insomma, mi pare che competere sul costo del lavoro specie quando ci si confronta in ambito internazionale è una scelta storica di cui l’Italia paga ancora le conseguenze.
Credo che l’Italia beneficerebbe di ingenti investimenti nelle università e nella ricerca ma soprattutto nella formazione di una nuova generazione di dirigenti illuminati. Tutto questo porterebbe benefici a lungo termine e sfortunatamente la demografia dell’elettorato non pare decisamente aiutare in questo tipo di scelte”.

Anche lì, anche se meno di Londra, ci sono tanti italiani. Cosa fanno?
“Data la varietà di persone che sono venute qui a Cambridge ho conosciuto persone che fanno ogni tipo di mestiere.
Alcuni lavorano nel settore della ristorazione e lo fanno con grande successo! In comune tra queste persone ho notato, qualità che mi sembra rara al giorno d’oggi tra, uno spirito di sacrificio del breve termine per migliorare la propria condizione a lungo termine. L’arrivo di Brexit, oltre alla recente pandemia, credo però porrà un notevole limite a volenterosi emigrati e imprenditori europei. Questo, nel mio piccolo, mi dispiace specie se penso a tutte le volte che mi sono sentito a casa mangiando friarielli o una pizza”.

Cosa è cambiato sul piano economico e mentale dopo l’uscita del Regno Unito dall’EU?
“Con il nefasto evento del COVID-19 gli effetti economici di Brexit sono in parte mascherati o almeno livellati con quelli della pandemia. Durante il corso di questi mesi sfortunatamente quindi i giornali e giornalisti ne hanno parlato davvero troppo poco e questo non è stata una buona cosa. Immagino quindi che le piccole e medie imprese sono tra le attività che sono più colpite da Brexit specie se basavano la loro attività sullo scambio merci con l’Unione Europea. Tralasciando gli aspetti politici qui vedo che molte aziende ora faticano a trovare personale il che spingerà probabilmente i prezzi di alcuni beni di consumo. In più l’aumento delle rette universitarie dal circa 9000£ l’anno per gli studenti Europei è stato alzato a circa 25000£ sterline l’anno; questo porterà ad un barriere all’accesso per l’educazione e barriere culturali che trovo limitanti nel mondo un cui viviamo oggi. Anche da un punto di vista di manodopera specializzata e non l’offerta di lavoratori immigrati e basso costo finirà per ridursi (ora per entrare a lavorare in UK ci vuole un visto e una offerta di lavoro con uno stipendio di 27k£ circa 30k€) costringendo da una parte gli imprenditori ad affacciarsi a maggiori rischi e dall’altra restringendo ad un numero enorme di persone di svilupparsi e crescere nella loro professione. Insomma la definirei un scelta scellerata, oltre a una mossa politica di livello infimo, da parte della società Inglese che mi lascia a dir poco perplesso”.

Come avete vissuto quest’anno difficile anche lì causa emergenza sanitaria?
“Un evento infausto come questa pandemia è un evento che si verifica ogni 100 anni circa, ed chiaramente dalla portata enorme. Qui in Inghilterra, dopo una – per fortuna breve – fase di political horror da parte del PM, i lockdown totali sono stati più lunghi ma leggermente meno restrittivi rispetto ad altri paesi come l’Italia. Tralasciando la prima fase di lockdown, la popolazione poteva uscire per fare attività fisica e fare la spesa ma nient’altro. Tutto questo è però durato interrottamente da Novembre fino a Maggio. E’ stato difficile da un punto di vista psicologico per me e mia moglie stare soli cosi a lungo. In compenso i servizi di consegna della spesa e la carenza logistica hanno funzionato egregiamente. Il college dove risiedo poi ha saputo gestire l’emergenza, come ugualmente ha fatto l’università, in maniera egregia istituendo sin dalle prime settimane un test settimanale per tutti i residenti; questo è stato molto importante per una maggiore serenità. Durante i mesi della pandemia abbiamo poi fatto largo uso di Youtube e da appassionato di cucina tradizionale quale sono mi sono trovato a compiacermi molto con i video del Campano Mimmo Corcione a cui rivolgo i miei complimenti e un ringraziamento per averci tenuto compagnia durante mesi difficili”.

Parliamo di cibo. La cucina britannica fa davvero così schifo come dicono?
“I piatti tipici e alcuni ingredienti sono davvero eccellenti. Penso alla carne, quindi gli arrosti, ed alcuni dei dolci. Con l’alimentazione quotidiane tuttavia, mi sembra che le abitudini culinarie mostrano decisamente i propri limiti. Qui per una parte della società sembra mancare un legame terra/cibo che è molto caratteristica in Italia vista anche la varietà di cucina tradizionale regionale. Qui in UK ho visto molte persone consumare senza alcun ritegno i cibi più disparati (vd. Lasgana bolognese con Ketchup) con solo boccone senza battere ciglio.
Insomma, con le dovute eccezioni, mi sembra che ci sia uno scarso interesse nel mangiare bene e dedicare il giusto tempo alla cucina, il tutto amplificato da una scarso mantenimento delle tradizioni culinarie e una inerente difficoltà a reperire ingredienti di alta qualità. Da quel che vedo è probabilmente dovuto ad una scarsezza di alcune materie prime ed uno disinteresse o forse un arido pragmatismo da una parte della società inglese: mangio per sopravvivere, non mangio per stare bene. Prima della Brexit comunque l’accesso a materie prime di alta qualità, come quelle italiane, era possibile anche in negozi locali ma a prezzi decisamente molto alti. Alcuni imprenditori italiani per fortuna hanno infatti iniziato a vendere materie prime italiane online di buona qualità (vd youdreamitaly.it). Questo mi ha permesso di riassaporare dei piatti che amavo prima di lasciare l’Italia anche a casa e di cui non mi sono reso conto quanto mi mancassero prima di lasciare l’Italia!”

Facci da Food Advisor: siamo in grado di mangiare una buona pizza napoletana a Cambridge?

“Una pizza che mi piace molto è da Franco Manca, c’è una certa variabilità ma spesso è buona. Il ristorante Tradizioni at Sorrento è anche una buona opzione”.

E la pizza preferita da Giovanni?

“La pizza fritta della Figlia del Presidente a Napoli!”

[DADES]