Il regista Rossano: “De Magistris grande delusione, la primavera napoletana è finita come quelle arabe”

E’ stato un attento studioso del fenomeno Luigi De Magistris agli albori dell’avventura politica dell’ex magistrato. Nel 2011 realizzò un documentario sulla clamorosa affermazione elettorale che lo portò a guidare la città di Napoli. Marco Rossano, 43 anni, regista che vive tra Napoli, Milano e Barcellona, parla con riluttanza di quella esperienza e di come è finita.
Forse perché è uno di quelli che avendo potuto vivere varie realtà europee può più facilmente guardare le cose con occhio distaccato, nonostante l’attaccamento a Napoli città e al Napoli squadra di calcio.
Dopo la laurea in Giurisprudenza alla Federico II, sono arrivati il diploma in regia cinematografica presso il Centre d’Estudis Cinematogràfics de Catalunya, un master alla Bocconi in Management per lo spettacolo e un dottorato in Sociologia a Barcellona; Rossano insegna Antropologia Culturale nei corsi di Fashion, Product e Interior Design presso la Raffles Milano Istituto di Moda e Design.
Il suo nome è stato inserito nel dizionario del nuovo cinema napoletano, un testo di Giuseppe Borrone con prefazione del noto critico cinematografico Valerio Caprara.

Nel 2011 il documentario sull’ascesa politica di Luigi De Magistris. Che bilancio si può fare di questo decennio della città di Napoli?

“Eh, altra domanda? Per me e per buona parte della città, è stata una grande delusione. L’inizio è stato promettente, si respirava un’aria di cambiamento, sulla scia delle primavere arabe che poi sono finite nel modo che tutti sappiamo. Ho visto e vissuto un miglioramento della città nei primissimi anni del primo mandato di De Magistris. La chiusura di via Partenope e la sua pedonalizzazione, una gestione dei rifiuti efficace con la raccolta porta a porta in diversi quartieri della città, maggior trasparenza amministrativa, più dialogo con i cittadini, più spazi pubblici al servizio della cittadinanza, la proiezione internazionale dell’immagine della città con la Coppa America, la Davis, il giro d’Italia. Ma poi qualcosa si è interrotto, si è inceppato. Sono andati via o sono stati cacciati gli assessori non allineati, chi criticava troppo, il sindaco si è circondato di collaboratori non all’altezza, è mancata la manutenzione ordinaria della città dovuta anche, dobbiamo riconoscerlo, a una mancanza di risorse e a un bilancio in rosso ereditato dalle precedenti amministrazioni. De Magistris si è isolato politicamente andando allo scontro istituzionale con i vari governi, ricordo le polemiche con Renzi o gli attacchi feroci tra il sindaco e il governatore De Luca. Non voglio entrare nel merito delle discussioni, ma in questo modo ha isolato, di fatto, la città di Napoli. Del secondo mandato preferisco non parlare, è sotto gli occhi di tutti. Tra le tante cose ho trovato quasi ridicolo l’esaltazione per la “flotta napoletana” e l’evento Napoli un mare di pace. Dal mio punto di vista giustissima causa, in solidarietà ai migranti, ma completamente sbagliata la comunicazione e l’attuazione. Grandi proclami per una flotta di 400 navi battente bandiera napoletana e una iniziativa che è stata un grandissimo flop con poche navi. Mi chiedo ancora come sia stato possibile pensare a un evento di questo tipo e realizzarlo in questo modo. Populismo è dir poco. Altra nota dolente è il verde cittadino. Non vorrei sbagliare, ma sembra che siano stati abbattuti circa 700 alberi negli ultimi anni e ne è la prova Posillipo, dove sono stati tagliati da un paio di anni quasi tutti i pini. È stato detto perché erano malati, ma è possibile che le radici siano ancora lì, alcuni tronchi sui marciapiedi e le strade dissestate? Lacrime e rabbia. Il leit motiv è che mancano le risorse, o sono stati stanziati i fondi, presto si interverrà etc, ma intanto il tempo passa, non si va avanti e ci si abitua a vivere così. Un po’ il discorso della teoria delle finestre rotte.  La città avrebbe bisogno di enormi investimenti per farla ripartire. Ci vorrebbe un grande evento mondiale e una unità di intenti a livello nazionale e locale che difficilmente vedremo. Una nota positiva pre covid è stato l’incremento turistico e la nascita di tante attività ristorative e ricettive per i turisti. Ed è merito degli stessi napoletani. Napoli ha una forza che viene dal basso molto potente, attiva, piena di energia e di iniziative. Purtroppo questa forza si disperde perché non è messa a regime, non si fa sistema, manca una classe dirigente preparata con uno sguardo che non sia solo autoreferenziale, una politica in grado di gestire, alimentare e far crescere questa energia tellurica di cui i napoletani sono portatori”.

Cinema, teatro, intrattenimento in generale sono i settori più colpiti dalla crisi sanitaria: che 2021 prevedi?

“È uno dei settori di cui mi occupo insieme all’insegnamento e al sociale. Non sono molto ottimista soprattutto per quanto riguarda le realtà medio piccole che sono le fucine della creatività e della sperimentazione. Molte maestranze sono rimaste senza lavoro e il problema maggiore, in questo momento, è l’impossibilità di programmare. È tutto bloccato, in attesa. Io da 6 anni organizzo il Premio Fausto Rossano un festival cinematografico sul diritto alla salute in ricordo di mio padre Fausto che era uno psichiatra e ultimo direttore dell’ex Ospedale Psichiatrico Leonardo Bianchi. Un piccolo festival che sta crescendo negli anni. A causa del covid abbiamo spostato la data da aprile a ottobre 2020 con la speranza di poter fare una settimana di eventi e incontri dal vivo nei cinema, teatri, scuole e università, ma durante tutto il mese di ottobre abbiamo dovuto ripensare la programmazione ogni 3/4 giorni con enormi sforzi, costi e dispendio di energie, per poi, con le chiusure, proporre un festival interamente online. È una situazione comune a tantissime realtà. Nel 2021 probabilmente ci sarà un aumento degli eventi online e soluzioni ibride in presenza e virtuali. Le potenzialità di Internet non le scopro certamente io e si farà sempre più ricorso a questo tipo di soluzioni. Basti pensare al boom delle piattaforme non solo come strumento di visione di serie e film, ma anche di produzione. Ovviamente i grandi teatri o le grandi produzioni cinematografiche pur risentendo della crisi, continuano a lavorare e stanno andando avanti. Un esempio è la produzione della serie L’amica geniale che si sta girando in questi giorni a Napoli”.

 Lavori spesso anche a Milano: cosa rappresenta Milano per l’Italia?

“Sicuramente Milano è un punto di riferimento per l’Italia e per il mondo. Ha i suoi aspetti positivi e negativi, come tutte le città del resto, può piacere o non piacere, i milanesi possono risultare simpatici o antipatici, il modo di vivere può essere o non essere quello preferito, ma a mio parere Milano è l’unica città italiana ad avere un pensiero politico, urbanistico, creativo, culturale, sociale a lungo termine. Ha una visione futura di ciò che vuole diventare. Purtroppo questa visione manca al resto delle città e soprattutto al paese Italia. È una città proiettata nel futuro con tutto ciò che ne consegue”.

Una lunga esperienza di vita in Catalogna: è vero che Barcellona è una Napoli dove il sole sorge in mare?

“Barcellona è la mia seconda casa. Sono 20 anni che vivo Barcellona. In questi anni ho fatto diverse esperienze in Italia e all’estero, ma la costante è stata Barcellona, che è cambiata tantissimo. Anche Barcellona ha una visione futura, è proiettata in avanti pur mantenendo un legame fortissimo con la propria tradizione e cultura. In questo è molto simile a Napoli. Un filo rosso lungo secoli unisce le due città, il clima, una parte dell’assetto urbanistico, il mare, i panni stesi tra le case, le connessioni storico-culturali molto forti e tanto altro. Alfonso V d’Aragona spostò la capitale del regno Aragonese da Barcellona a Napoli nel 1441 dando un forte impulso al Rinascimento Napoletano di cui si sa molto poco. Sono due città al tempo stesso molto diverse. Barcellona a volte mi fa rabbia, perché è ciò che potrebbe essere Napoli. O, più ottimisticamente, è come sarà Napoli, ma non credo che lo vedrò mai. Aggiungo una cosa, ho fatto un dottorato in sociologia all’Università di Barcellona e nella mia tesi ho analizzato come caso empirico i napoletani che vivono a Barcellona, girando anche un documentario dal titolo Napoletani en Barcelona. Tra le tante analisi e osservazioni fatte, mi ha colpito non tanto il legame che si mantiene con la città di origine, ma la (ri)scoperta di una parte della propria identità, quella napoletana, e l’orgoglio di quelle radici, della città che da lontano si guarda con più oggettività e lontana dagli stereotipi positivi e negativi. C’è una forte presa di coscienza che Napoli non è la cartolina col Vesuvio né Gomorra, ma una città in continua trasformazione ed evoluzione con mille sfaccettature. I mille colori della canzone del compianto Pino Daniele. Esiste una Napoli e una napoletanità per ogni napoletano”.

Sei un grande tifoso del Napoli: che stagione è tra assenza di pubblico e di continuità?

“Sono un grande tifoso del Napoli, ho scritto un libro intitolato Mondo Azzurro sui tifosi del Napoli che vivono all’estero, ho scritto diversi articoli anche accademici sui legami tra il calcio e il sociale e ho girato un documentario durante la prima Champions, quella di Cavani e di Mazzarri. Il calcio è lo specchio della società e il calcio Napoli lo è della città. Siamo nati per soffrire, è insito nei tifosi del Napoli. Se non soffrissimo, non saremmo del Napoli. Questa è una stagione particolare, piena di alti e bassi e lo vediamo in tutti i campionati più importanti. C’è molta difficoltà dovuta, credo, al poco tempo a disposizione per la preparazione estiva, all’interruzione per il lockdown e la conclusione del campionato ad agosto. Il Covid ha cambiato molte vite e abitudini, anche quella del calcio. Il calcio senza pubblico perde la sua essenza. Perde la sua principale caratteristica di condivisione, di funzione catartica, di socialità. L’abbraccio con lo sconosciuto dopo il gol, la “merenna” offerta dal vicino o i borghetti bevuti tra una chiacchera e l’altra con gli amici, i canti, la passione e la forza delle curve che a volte spingono i giocatori a dare il massimo. Senza tutto questo si può parlare di calcio? La continuità è un problema di questa squadra. Io credo che manchino i leader, ma da anni non ne abbiamo. Probabilmente è arrivato il tempo di una rifondazione e di ripartire con un nuovo programma per il prossimo quinquennio. L’ossatura di questa squadra è ancora quella di Benitez, l’unico grande manager che il Napoli abbia avuto negli ultimi anni. Altro grande problema del Napoli è l’ambiente. Uno dei più autolesionisti che ci sia. Ce la giochiamo con quello della Roma. Non c’è unità di intenti, non si rema tutti nella stessa direzione, ci sono invidie, dissapori, parte della carta stampata provinciale e offensiva. Lo sfogo di Gattuso è esemplare. Credo sia giusto criticare in modo costruttivo, ma le offese a che servono? Si può vincere restando uniti, facendo quadrato, spalla a spalla. Continuando così non vinceremo mai”.

Lo chiediamo a tutti: la tua pizza preferita?

“Ultimamente mi ero appassionato a una pizza con le polpette al ragù e il cornicione ripieno di ricotta, ma la mia favorita rimane la fior di margherita con melanzane a funghetto. Fior di margherita che era il nome originario”.

Come te la cavi in cucina?

“Mi piace cucinare, mi rilassa, mi piace sperimentare e cucinare anche piatti di altre tradizioni gastronomiche. Della tradizione napoletana faccio una buona pasta e fagioli con aggiunta di cozze all’occorrenza. Preparo pasta al pesto di pistacchi, mi piace molto la cucina siciliana, la paella (ovviamente!), lo spaghetto alla Nerano, orecchiette con polpettine e tanti altri piatti”.

Dario De Simone