“Le ultime parole del boss” su Rai2: intervista ad Enrico Nocera, uno degli autori del docufilm su una storia dimenticata dell’epoca Cutolo

E’ andato in onda su Rai2 venerdì 30 settembre il docufilm “Le ultime parole del boss“, coprodotto da B&b film e Rai Documentari, per la regia di Raffaele Brunetti, che è anche autore con Antonio Mattone ed Enrico Nocera. Il documentario è tratto da libro “La vendetta del boss” (Guida Editori) di Mattone ed è incentrato sulla figura di Giuseppe Salvia.Il vicedirettore del carcere di Poggioreale fu ucciso per ordine di Raffaele Cutolo il 14 aprile del 1981 sulla tangenziale di Napoli. Cutolo gliel’aveva giurata dopo che Salvia si era “permesso” di farlo perquisire prima del rientro nella sua cella. Il docufilm ripercorre la storia di Salvia e della Napoli di quegli anni, con interviste inedite ai familiari di Salvia e ai suoi più stretti collaboratori. Viene affrontata anche la questione del rapimento di Ciro Cirillo da parte delle brigate rosse, che avvenne pochi giorni dopo la morte di Salvia. Lo Stato, infatti, chiese aiuto proprio a Cutolo per trovare l’assessore Cirillo e liberarlo, relegando Salvia nel dimenticatoio.
Enrico Nocera, 36 anni, napoletano di Grumo Nevano, una laurea specialistica in editoria digitale a La Sapienza, è uno degli autori.

Il luogo dell’omicidio in un frame del docufilm

Cosa si prova a mettere in scena e sul grande schermo una storia quasi sconosciuta al grande pubblico?
“Un certo senso di giustizia, se con questa parola intendiamo il giusto riconoscimento al ricordo di una persona uccisa solo perché faceva il suo dovere di uomo dello Stato. Quello stesso Stato che ha dimenticato Giuseppe Salvia per troppi anni, derubricandolo a un semisconosciuto nome su una targa commemorativa. E guardando il documentario scoprirete che questa condotta da parte delle istituzioni non era casuale. Sono passati quarant’anni dall’omicidio: è incredibile pensare che solo oggi, nel 2022, si cominci a ricordare Salvia per come merita. Abbiamo creduto fino in fondo in questo progetto, che non sarebbe stato possibile senza la caparbietà e l’ostinazione di Antonio Mattone, autore del libro da cui Raffaele Brunetti ed io abbiamo tratto la storia. Antonio è stato capace di riportare alla luce un “cold case” incontrando Cutolo per un’intervista e facendogli confessare, per la prima volta, l’omicidio Salvia. Nessuno è stato capace di proteggere Salvia quando era in vita: ora è giusto se ne celebri il ricordo”.

L’anteprima nel carcere di Poggioreale ha rappresentato un riscatto della legalità?
“È stato sicuramente un bel momento, condiviso peraltro con decine di detenuti che hanno partecipato alla proiezione. C’è un particolare che mi ha commosso: uno di loro che si rivolge a Giuseppina Troianiello, vedova di Giuseppe Salvia, dicendole che la sua forza d’animo e il suo sorriso – nonostante tutto quello che aveva passato – erano di esempio per tutti loro. In questo senso quindi sì: un piccolo barlume di riscatto c’è stato. Poi ovvio che non basti questo: non ho la presunzione di affermare che la proiezione di un documentario possa cambiare le sorti della legalità in senso generale, a Napoli come altrove. Abbiamo sicuramente dato il nostro contributo ma c’è ancora tanto da fare, dentro Poggioreale come al di fuori delle sue mura”.

Un altro film, tra l’altro d’autore, degli anni ’80 celebrò il mito più che la storia di Cutolo. Perché secondo te a distanza di quasi 40 anni è ancora visto e rivisto da tutti?
“Servirebbero pagine intere per rispondere compiutamente. Mi limito a sottolineare come Cutolo abbia colmato un vuoto di potere offrendo un senso di appartenenza a migliaia di disperati che abitavano il sottobosco criminale di Napoli e provincia. Don Raffaele, in questo senso, diventa un punto di riferimento per chi fino all’altro giorno viveva di espedienti e piccoli furti. “Un santo protettore”, dice qualcuno nel materiale d’archivio Rai che abbiamo reperito per il documentario. Ecco perché, negli anni, si è creato il mito di Raffaele Cutolo. Un mito che purtroppo, in alcuni casi, continua a esistere. Il film di Tornatore è stato per lungo tempo oggetto di polemiche proprio per il motivo che ricordo tu, ma d’altra parte come fai a raccontare un personaggio come Cutolo scindendolo da quella fascinazione deteriore che è riuscito a creare?”

Molti anni fa una esperienza anche con The Jackal: ti ha colpito il successo ottenuto negli anni successivi da alcuni dei membri del gruppo?
“Direi proprio di no. Non sono per nulla sorpreso. I The Jackal hanno sempre lavorato con dedizione e serietà, oltre a coltivare un certo talento. E quando lavori con dedizione e serietà i risultati arrivano, non c’è scusa che tenga. Hanno sempre avuto un’energia incredibile, da quando giravano con le handycam amatoriali nel garage di casa fino a oggi che sono una società strutturata. Direi, quindi, che il successo non solo è pienamente meritato ma anche, per chi li conosce bene, in qualche modo prevedibile”.

Parliamo di cibo: qual è un piatto della cucina napoletana a cui non potresti rinunciare?
“Mi porti su un campo di cui ho profonda conoscenza pratica! Direi il ragù, senza alcun dubbio. Quello “pippiato” per svariate ore, beninteso. Altrimenti esce fuori la “carne con la pummarola”, come diceva Eduardo”.

E come te la cavi ai fornelli?
“Abbastanza bene, in particolar modo su primi piatti e brace. Adoro la brace, arrostirei qualunque cosa”.

Lo chiediamo a tutti: la pizza preferita da Enrico?
“Nessun dubbio: la Marinara. Se poi ci scappano sopra pure due acciughe, ancora meglio”.

Dario De Simone