Avrebbe guidato un tram senza …Paura, ma è diventato giornalista: “Con il Roma le mie nozze d’argento e qualcosa di più”

Se può esserci un concetto di simbiosi positiva legata al mondo dell’editoria, l’esempio da prendere è certamente il suo. Diego Paura, 51 anni da poco compiuti, ne ha trascorsi 25 nella redazione del “Roma“, uno dei più antichi e rinomati quotidiani italiani. Alla sede di via Chiatamone, recentemente lasciata per spostarsi a viale Augusto, a due passi dallo stadio Diego Armando Maradona.
Giornalista professionista dal 1997, del Roma è attualmente il responsabile della redazione Spettacoli. Celebri le sue presenze in tv soprattutto nelle trasmissioni notturne, ma molto seguite, di Gigi Marzullo su Rai1.

Dei tuoi 51 anni più della metà sono stati spesi nella redazione del “Roma”: cosa significa legarsi così profondamente ad un giornale?
«Infatti avevo 26 anni quando ho messo piede per la prima volta nella redazione di via Chiatamone. Provenivo da esperienze precedenti come giornalista sportivo con “Rotopress”, “Il Mattino” e “Il Giornale di Napoli” e non avevo ovviamente la minima idea di legarmi così con un giornale come è stato con il “Roma”. Significa tanto, siamo una squadra collaudata, siamo editori di noi stessi, e cerchiamo con tanto sacrificio e volontà di proseguire il percorso in una strada, quella dell’editoria, che si fa – ahimè – sempre più impervia. Grazie al “Roma” poi ho avuto la possibilità di mettermi in evidenza ed essere preso in considerazione dai direttori di testate a diffusione nazionale come Sandro Mayer a “Dipiù”, Roberto Alessi a “Novella2000” e Carlo Faricciotti a “Visto”».

Cosa avrebbe fatto Diego se non avesse intrapreso la carriera di giornalista?
«Avevo mille sogni, amavo giocare al calcio ma ero anche affascinato dai mezzi di trasporto come tram e bus e mi sarei visto anche alla guida degli stessi… Ma il giornalismo entrò prepotentemente nella mia vita quando avevo appena 17 anni, da poco compiuti, grazie alla volontà di mia madre – scomparsa prematuramente l’anno successivo – che mi indirizzò nella redazione della “Rotopress”».

Sei un volto noto di “Applausi”, programma marzulliano di Rai1 dedicato al teatro. Cosa rappresenta Gigi Marzullo nella tv dei tempi d’oggi?
«Ho avuto la possibilità di collaborare con Gigi Marzullo per oltre 5 anni, per le sue rubriche “Applausi” e “Cinematografo” prima di un’altra bella esperienza televisiva con “Tv2000”. Gigi Marzullo rappresenta un mito nonostante la tv sia andata velocemente verso un’altra direzione: lo si evince dal fatto che ogni artista desidera essere intervistato da lui e che il pubblico guarda i suoi programmi a tarda notte. Per me è un grande che ha saputo dare un preciso indirizzo alla cultura nella tv di Stato».

Sei stato testimone della nascita e dell’esplosione del fenomeno Gigi D’Alessio negli anni ’90. Il concerto di qualche settimana fa cosa ha rappresentato per Napoli?
«Conosco Gigi D’Alessio da 34 anni, prima ancora che iniziasse a cantare, quando era il pianista di artisti come Angela Luce, Mario Trevi e Mario Merola. Ho vissuto al suo fianco la sua crescita professionale e il suo exploit… Il suo evento dello scorso giugno in piazza del Plebiscito ha rappresentato il riscatto, attraverso la tv, di un artista e della sua città spesso “etichettati” in maniera poco consona. Finalmente il pubblico di Rai1 ha visto uno spettacolo di livello come non mai e sono sicuro che per la città, così per l’intera regione, sia stato un ottimo volano di pubblicità in termini turistici».

Vecchie voci, nuove leve, neomelodici: come sta la musica a Napoli?
«La musica a Napoli fa un po’ fatica a decollare. Le vecchie voci resistono all’arrivo – incontrollato – di nuove leve, di nuovi generi musicali che spesso durano appena poche settimane… Non esiste una linearità e la città, anche in questo caso, è frazionata: in alcuni quartieri vanno fortissimo le nuove leve dei cosiddetti neomelodici, in altri emergono i rapper con le loro canzoni di denuncia. E, magari, chi è napoletano di nascita e nel cuore, e canta brani pop in italiano, non viene preso in considerazione così come accade, invece, a Milano e Roma. Anche nella musica Napoli “rinnega” i propri figli che cercano di uscire fuori dai “luoghi comuni”».
Napoli è stata per decenni la Capitale del teatro. Purtroppo nel nuovo millennio si è perso un po’ questo primato. C’è ancora speranza di tornare ai fasti di un tempo?
«Poche speranze e la pandemia ha fatto il resto. Le grosse somme di denaro elargite dal ministero di Franceschini vengono dirottate altrove, i privati non riescono a sostenere spese esose per mantenere in vita le strutture, e le compagnie teatrali di una volta, quelle con più di 10 attori in scena, ormai sono solo un ricordo. La speranza, si sa, è l’ultima a morire e Napoli ha sempre dato atto di risorgere dalle proprie ceneri… Probabilmente lo farà anche il suo teatro».
Parliamo di cibo: come se la cava Diego ai fornelli?
«Ai fornelli mi dò praticamente uno zero spaccato. Praticamente non so fare nulla in cucina, solo mangiare… E anche di gusto».

A quale piatto non sapresti proprio rinunciare?
«Mangerei pizza sette giorni su sette, a pranzo e a cena. Ma adoro la cucina mediterranea in toto e la pasta occupa sempre una delle primissime posizioni della mia speciale graduatoria. Ho limitato le quantità di carne, mangio molto più pesce. E ho iniziato anche a gradire il sushi».
Lo chiediamo a tutti: la pizza preferita da Diego?
«Ne ho più di una, il ripieno al forno e la Margherita con i pomodorini del piennolo e la bufala a crudo appena uscita dal forno. Una particolarità mi contraddistingue: in ogni pizzeria ho una scelta diversa. E, ovviamente, quando entro in un locale per me nuovo la classica prova è con la tradizionale “Margherita”».
Dario De Simone