Dario Sarnataro: “In radio e tv vorrei toni più bassi; di pesante mi piace solo la pizza”

E’ da anni una delle voci pacate di Radio Marte dove conduce lo storico programma “Marte Sport Live“, in onda tutti i giorni all’ora di pranzo. Accompagna il pasto di tanti napoletani raccontando tutto ciò che orbita intorno alla squadra azzurra. Da questa stagione è tornato stabilmente anche in tv  con un programma sportivo ogni martedì su Telecapri che si chiama Onda Azzurra. La storia di Dario Sarnataro è indissolubilmente legata a quella del Napoli che ha seguito anche negli anni difficili della serie C attraversando le gestioni Ferlaino, Corbelli, Naldi e infine De Laurentiis.Lo ha fatto sempre con pacatezza, stessi toni usati nei libri che ha scritto nel corso di questi anni; il più interessante è sicuramente “Il Napoli dalla A alla Z” scritto con Giampaolo Materazzo. Qualche eccezione l’ha fatta, soprattutto in radio quando decise di leggere un monologo per criticare un personaggio televisivo che aveva fatto stupida ironia sulla città di Napoli. Quei luoghi comuni snocciolati da un salotto televisivo milanese avevano fatto perdere la pazienza anche a lui.

Sei una delle voci pacate dell’etere: in radio e nel mondo dello sport pagano ancora i toni bassi e moderati?
“No. In alcun modo. Ovvero credo che i toni bassi e moderati, che fanno sempre rima con contenuti, giornalismo legato a notizie e non a schieramenti faziosi, siano doverosi per raccontare i fatti ed esprimere le opinioni. Così, secondo me, si fa un giornalismo serio, che riesce ad “arrivare” al pubblico, che stimola il confronto e il dibattito, che non impone e provoca reazioni disordinate. Ma spesso queste qualità non vengono “pesate” a dovere. Si preferiscono le urla, i finti litigi, il rumore fine a se stesso alla riflessione”.

Ti vediamo condurre una trasmissione sportiva su Telecapri: come è cambiato il mondo radiotelevisivo in questi 25 anni?
“Abbastanza. Da un punto di vista strettamente giornalistico il processo già in atto 25 anni fa è arrivato agli estremi. La professionalità paga poco, nel senso che sembra che bisogna fare show e non giornalismo per avere successo. Bisogna essere di parte, schierarsi in modo estremo su una posizione, spesso preordinata, qualche volta legata a meri interessi. Faziosi e non oggettivi, imbonitori e non moderatori, manipolatori di notizie e non cronisti. Ovviamente il mio è un discorso in generale. Ci sono eccezioni e momenti di veri giornalismo, anche in radio e in tv. Io credo nell’oggettività, nella polemica quando serve, nei contenuti, nell’equilibrio delle posizioni, nella libertà dello spirito critico, da rivendicare senza per forza essere tacciati di essere per forza “contro” o a “favore” di un personaggio o di una società. E questo è quello che facciamo, faccio, da 18 anni a Radio Marte. E questo è quello che provo a fare anche a Telecapri. Il mio riferimento sono gli ascoltatori, i telespettatori, innanzitutto”.

Come stai vivendo a livello personale e lavorativo quest’anno così difficile?
“In trincea. Non è un momento facile per molte categorie di lavoratori, anzi per diverse di esse è drammatico. In questo senso non posso lamentarmi troppo. Dal punto di vista personale la privazione di ogni momento sociale e di libertà è stato un duro colpo, specie pensando all’anno “unico” perso da mia figlia. Ho tuttavia rispettato con serietà le regole, volendo uscire quanto prima dal tunnel e avendo a cuore la salute dei miei cari e della collettività. Dal punto di vista lavorativo è ovvio che c’è stato qualche passo indietro, sia dal punto di vista della gratificazione professionale che dal punto di vista dell’impegno mentale. Il lavoro nobilita l’uomo, specie se è fatto con il sacro fuoco della passione, come accade nel mio caso. E quindi si soffre di più se vengono a mancare alcune certezze e se la situazione generale impone sacrifici”.

A proposito… Quanto ha inciso l’assenza del pubblico sulle prestazioni del Napoli di Gattuso?
“Molto. Essendo una squadra che non spicca per personalità il sostegno del tifo avrebbe potuto dare la carica ma anche lo stimolo in diverse gare. Parimenti in certe partite giocate male i fischi avrebbero potuto stroncare l’autostima, già non proprio eccellente, degli azzurri. Ma nel computo il Napoli, e lo stadio Maradona, hanno perso molto”.

In questi giorni ricorre il 30° anniversario dell’ultimo gol di Maradona con la maglia del Napoli. L’evento di fine 2020 è stato senza dubbio l’addio a Diego: cosa porterai dentro di quella giornata di novembre e cosa è cambiato in città?
“Il 25 novembre è un giorno che non dimenticherò più. Commozione, tristezza, rabbia e grande nostalgia. Ecco quello che ho provato: un misto di emozioni. In città è calato un velo di tristezza e di solitudine assoluti: pur se ormai era assente da tempo, Maradona era ed è un simbolo per Napoli. I napoletani non hanno perso solo un eroe sportivo, hanno perso un idolo, un riferimento, un leader che li aveva rappresentati meglio di molti loro concittadini, interpretandone in modo perfetto la rabbia, la voglia di rivalsa sociale, la passione e le esigenze, in particolare di quegli anni”.

Parliamo di cucina: come te la cavi ai fornelli?
“Non male. Certo non sono uno chef, ma nel lockdown qualche passo in avanti l’ho fatto, anche per cucinare per mia figlia. Pasta e patate con la provola, i friarielli e pasta e ceci o fagioli sono le pietanze che mi riescono meglio”.

Lo chiediamo a tutti: la tua pizza preferita?
“Difficile dirlo. Quando mangio nelle storiche pizzerie di Napoli assaggio, giocoforza, la Margherita, ma mi piace molto anche quella salsiccia a friarielli, con la bufala e quella “bianca” con prosciutto, porchetta o salame. Insomma vado sul “pesante”. E non posso non mangiare almeno una volta alla settimana la nostra adorata pizza”.

[DADES]