“L’impiccato”, patrimonio d’Irpinia e del Sud

E’ un prodotto antico con origini antichissime, ma l’usanza è molto recente. Il caciocavallo impiccato è un retaggio degli ultimi allevatori di bestiame irpini e lucani. Ultimi, perché il fenomeno si è molto ridotto dopo la ricostruzione post sisma del 1980. Le stalle e le altre strutture rurali hanno ceduto il passo alle abitazioni.

Ma diversi pastori sono rimasti in attività e nel corso degli anni hanno raccontato di quella eccezionale e gustosa scoperta, legata alla transumanza. Sembra che l’usanza di impiccare il caciocavallo con una corda sia nata fortuitamente. I pastori appendevano questo tipico formaggio a forma di pera ad alcuni rami per evitare che gli animali potessero mangiarlo; poi banchettavano intorno al fuoco nelle sere più fresche e a volte il fuoco rimasto acceso scioglieva i formaggi.
Così ci si accorse che portando un caciocavallo ad una decina di centimetri dalla griglia si otteneva l’effetto di produrre uno scioglimento parziale che lo rendeva morbido e delicato, pronto per essere spalmato su un pezzo di pane.
Da circa 20 anni è un must delle sagre di mezzo Sud Italia, ma la tradizione è particolarmente diffusa nelle province di Avellino, Potenza, Matera e in alcune aree della Puglia. Gli esperti sostengono che il miglior caciocavallo sia proprio quello irpino, il Podolico; lo si dovrebbe ad una particolare alimentazione delle mucche che lo producono. Per gustare un perfetto “impiccato” è necessario che sia non troppo stagionato.
Il pane più adatto? Il dibattito è aperto. Deve essere un pane raffermo. Molti sponsorizzano il pane di Matera, ma gli irpini doc preferiscono il pane di Volturara.
L’accoppiamento migliore dal punto di vista enologico è sicuramente quello con un buon Aglianico; da preferire una gradazione non superiore a 12,5 gradi, anche perché molte delle sagre si svolgono in periodo nei quali la temperatura, anche sui rilievi appenninici, non è ancora bassissima.
[DADES]